Volontariato

Ostia, l’ospedale per chi ha la coca in pancia

Li chiamano “le mule”. Viaggiano con centinaia di ovuli che contengono dosi di sostanza purissima. Ma se il lattice si rompe l’overdose può essere mortale.

di Stefano Arduini

Le mule viaggiano in prima classe. E, spesso, finiscono in ospedale. Le mule sono i corrieri della droga. Pacchi umani, provenienti dal Sud America (da qui il soprannome mulas) ma anche dalla Nigeria, che per un pugno di dollari, un viaggio non ne vale più di mille, attraversano l?oceano con in pancia chili di cocaina (più raramente eroina o cannabis) in centinaia di ovuli.

Ovuli di lattice
Non sempre però fila tutto liscio. Un atteggiamento sospetto, un leggero tremolio possono infatti significare l?arresto. Ma anche la salvezza. «Nessuno viene da noi spontaneamente per non essere denunciato», spiega Remo De Bartolomeo, il chirurgo romano dell?ospedale Grassi di Ostia, non a caso a due passi dall?aeroporto internazionale di Fiumicino, e delegato internazionale della Croce Rossa che in 20 anni, con la sua équipe di 15 professionisti, ha preso in cura oltre mille body packers evitando a molti di loro la rottura di quei «piccoli cilindretti in lattice con pochissimi grammi di sostanza purissima e un principio attivo che supera il 90%». La rottura interna di un ovulo porta all?overdose e quindi a «convulsioni molto violente, disturbi del ritmo cardiaco, fibrillazione ventricolare fino alla morte». Il rischio è molto più elevato perfino rispetto a un?overdose d?eroina.
Non tutte le mule però vanno sotto i ferri. Anzi. «In questo momento, per esempio, abbiamo in cura due pazienti in un quadro di risoluzione spontanea».
L?obiettivo del protocollo d?intervento elaborato da De Bartolomeo è l?espulsione naturale della droga: «Il corriere viene tenuto a letto senza nessuno stimolo farmacologico che potrebbe essere dannoso. Facciamo invece controlli accurati sull?eventuale presenza di patologie che potrebbero complicare la situazione». I ricoverati vengono quindi prima di tutto sottoposti a radiografie per accertare e conoscere la vera entità degli ovuli, la quantità e la tipologia di droga. Dopo aver accertato che il paziente non è un consumatore, «caso raro, normalmente si tratta di povera gente o di persone ricattate nel loro Paese d?origine anche con minacce nei confronti dei familiari», si procede all?analisi delle urine. Fondamentale per verificare il grado di rischio.

Uomini contenitori
Con questo sistema, in media, si evita l?operazione a ben il 90% degli assistiti (in questo caso il ricovero non supera mai le 96 ore). Fino ad oggi l?équipe di De Bartolomeo ha dovuto registrare il decesso di una sola persona. Abbassare la guardia però non è possibile. I rischi sono sempre altissimi. De Bartolomeo racconta: «Ricordo il caso di un portatore di una ernia diaframmatica senza esserne a conoscenza per assoluta mancanza di sintomi. Dopo avere ingerito gli ovuli con la droga ha presentato un quadro occlusivo intestinale ed insufficienza respiratoria per dislocazione di visceri ripieni di contenitori nell?emitorace sinistro. Per una volta la lastra del torace ci ha mostrato ovuli di droga nel torace e non solo nell?addome. Il nostro intervento gli ha salvato la vita».
Ma cosa ne è delle mule dopo le dimissioni dagli ospedali? «Li riconsegniamo alla Guardia di Finanza, gli aspetta il carcere». Una brutta fine? «Così almeno non rischiano la vita. Ma lo ripeto ancora una volta: questi sono dei disperati. Più contenitori che uomini».

Casi recenti
250 ovuli in due
Nelle ultime settimane sono stati due i casi che hanno riportato agli onori della cronache i viaggi dei corrieri della droga. Quella di una venezuelana 40enne sbarcata all?aeroporto di Fiumicino, già in stato di overdose, con due chili di coca nello stomaco, ripartiti in 150 capsule, subito ricoverata proprio all?ospedale Grassi di Ostia. E quello della fotomodella di Santo Domingo, Mercedes Julissa Bianela Brito, bloccata alla dogana di Catania con 98 ovuli in pancia.

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